The world may be known Without leaving the house;
The Sky may be seen Apart from the windows.
The further you go, The less you will know.

Wednesday, September 29, 2010

Tanti ne hanno già parlato e male...

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Di fotogramma in fotogramma, di cliché in cliché, scorrono le Mine Vaganti di Ozpetek, proiezione inaugurale della rassegna cinematografica "Cinema senza barriere" curata dalla Cineteca Italiana presso il Cinema Oberdan a Milano e dedicata alle persone con disabilità sensoriali della vista e dell'udito. "Un titolo scelto non a caso per la rassegna, dal momento che i segreti di famiglia e la difficoltà dei protagonisti del film ad integrarsi nel privato e nella società stimolano lo spettatore ad immedesimarsi nella vicenda" dal quotidiano free press Metro del 28 settembre. Deduciamo quindi: Gay = Diversamente abile. Qui ci sarebbe molto da dire, ma lascio a voi il diletto di rincorrere le idee che questa uguaglianza suscita nelle vostre teste...

Parola per parola condivido l'opinione di Luca Pacilio che chiude così la propria recensione su Gli Spietati: "Ma di luogo comune vive (muore) tutta l’opera di Ozpetek che di stereotipi si ingozza (il cognato napoletano, la zia zitella, la nonna progressista) e che diffonde rassicurazione come un virus, offrendo una visione talmente conciliata del mondo da diventare inquietante."

Non è facendo recitare da cani attori carini che si fanno dei bei film, non è lanciando il sasso e nascondendo la mano che si cambia la mentalità e l'opinione corrente che l'italiano e l'italiana medi hanno circa l'omosessualità.

Non è facendo vedere un gay che dà un bacio sulla bocca a una ragazza che si faranno passi avanti in questo disgraziato paese. Questa storia l'avevamo già vista in "Diverso da chi?" di Umberto Carteni con Luca Argentero (facilmente sovrapponibile a Riccardo Scamarcio). E' mai possibile che al cinema non si possa vedere un gay gay che non si innamora di una ragazza... Non dico che non esistano, ma di sicuro non sono così frequenti come il signor Ferzan ci vuole far credere, o forse li conosce e li frequenta tutti lui. Certo io parlo di gay, non di omosessuali repressi, sposati e non, che fanno le "cose brutte e proibite" di nascosto, che pensano che passerà, che se una ragazza si innamora di loro se la scopano (passatemi il termine) per paura che proprio lei vada in giro a dire che sono froci (passatemi ancora il termine), che sorridono a una battuta omofoba e pensano all'incontro furtivo consumato nel buio di un losco parcheggio di periferia la sera prima, che si fanno rodere dai sensi di colpa per quello che hanno o non hanno consumato...

Il film, pur con tutti i suoi difetti spietatamente evidenziati, si lascia guardare ma resta sempre un non so che di appiccicoso, di caricaturale per quasi tutti i personaggi e soprattutto manca il coraggio di dire qualcosa di vero, coraggio che Ozpetek proprio non ha e forse per questo in tutti i suoi film c'è sempre una voce che invita a "essere se stessi per essere felici" e soprattutto per non avere rimpianti...

Ultimo dettaglio: fra il pubblico molti degli spettatori con disabilità sensoriali, dotati di cuffia con audiocommento, si sono lamentati per la scelta del film che per loro è stato difficile da capire. Credo si riferissero alle scene di flashback un po' sognanti che mostrano la delicata storia d'amore vissuta in gioventù dalla nonna dei protagonisti, costretta a sposare il fratello dell'uomo di cui invece era innamorata, che forse non sono riusciti a cogliere appieno. Prossima rassegna cinematografica: "Cinema e omo-banalità"!

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Monday, September 27, 2010

Di una certa borghesia...

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E' da parecchi giorni che volevo scrivere, dei ragazzi (e delle ragazze) della bella borghesia, milanese e non, sino ad oggi non riuscendoci. Il perché, lo intuisco soltanto, forse.

In un recente articolo de Il Giornale, Luca Doninelli, la borghesia milanese la descrive così: "Basta sentire una sola parola, o l'intonazione della voce, basta vedere certe bluse, certi golfini, certe camicie, certe biciclette, certi androni, certi nasi, certe conversazioni in certi caffè, certi scambi di frasi tra madre e figlia (nella borghesia milanese le figlie adolescenti escono a passeggio con la madre, gli abiti sempre intonati); basta insomma un niente e la si riconosce. I suoi rampolli sono avvocati, giudici, architetti importanti, editori, imprenditori di successo, primari ospedalieri. Molti di loro sono spesso abbronzati".

Oggi i figli di questo ceto che si è sviluppato nei maggiori centri urbani, a nord come a sud, sono di norma bei ragazzi e belle ragazze. Fini nei tratti, dalla pelle chiara al massimo dorata, aborriscono la volgarità nel linguaggio, vestono firmato ma non ostentano nulla. Hanno il vespino giusto, il casco giusto, la collanina e il braccialetto comme il faut, la erre leggermente moscia i ragazzi. Le ragazze mai più che un velo di trucco, leggerissimo. E' inutile specificarlo, la linea è perfetta, ventre piatto per i ragazzi e vita snella per le fanciulle. Sono magri in altre parole, i maschi e le femmine.

A Milano i licei saranno il Manzoni, il Volta o il Berchet, i privati Leone XIII o Gonzaga sono scelti dai genitori che tengono ai valori di un'educazione più cattolica. Nel tempo libero questi "esemplari" dell'alta borghesia frequentano fra tanti luoghi i Giardini Pubblici di Porta Venezia, quelli della Guastalla, la "Cozzi". La sera si va solo a feste private, a casa fra amici, dal figlio del console ics o della contessina ipsilon. Mai nei locali pubblici a spendere inutilmente i denari di mamma e papà.

I ragazzi amano farsi le sigarette da sé, sigarettine quasi, tanto sono l’amore e la scrupolosità che ripongono nell’atto di confezionarle perfette. Nel fumarle poi vi è quell'abbandono, quel gusto nel sapere che tutto alla fine andrà bene, e anche se c'è qualcosa che li preoccupa, in quel preciso istante non lasciano che nulla li turbi, che nessuno si intrometta fra loro e il loro piacere. Non vi è in alcun modo l'ansia di chi fuma nervosamente, schiavo di una dipendenza che avido aspira per mantenere costante il livello di nicotina nelle vene.

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Al mare nell'esporre i loro corpi vi è un'ostentare discreto se così si può dire. Nulla del mettersi in mostra "tamarro", Rimini o Riccione sono lontane anni luce, per loro mai esistite. La gioventù di cui parlo ama godere della propria (relativa) libertà ma lo fa con un certo distacco, senza darlo troppo a vedere. Un po' di palestra sì, gli abiti firmati pure ma sempre all'insegna dell'understatement. Sobrietà e discrezione li contraddistinguono sempre, quasi si vergognino della propria ricchezza, dei vantaggi e della posizione privilegiata da cui presto avranno accesso verso la loro vita da adulti.

A volte mi è capitato di sfiorarlo il loro universo: they are so attractive and sometimes I feel so awkward.
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Enjoying the dolce far niente by the sea. Photo © DDM
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Friday, September 17, 2010

Qualunque cosa vi raccontino...

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... la forma è uguale alla sostanza.

[...] la cura della forma data alle proprie cose, alle proprie espressioni è cura di se stessi, e rispetto e considerazione e attenzione per gli altri. La cura della forma è una cosa lunga, un esercizio quotidiano. E’ una ricerca su e dentro di sé, prima di tutto,  ma questa è solo la prima parte, perché poi quella cura la si chiede anche agli altri, e se non la si chiede – spesso per semplice desiderio di quieto vivere – ci si fa comunque attenzione, la si apprezza trovandola e si diventa insofferenti notandone l’assenza; dopo un po’ ci si fa l’abitudine, si fa l’abitudine a essere considerati dei formalisti, degli snob nutriti dai complessi di superiorità, dei pedanti noiosi. [da Squonk]

Di fronte allo sconforto per il pressapochismo, la superficialità, la trascuratezza,  la volgarità, ormai così largamente diffusi nella mignottocrazia italiana, invito tutti e tutte coloro che possono, e vogliono, a resistere, a controbattere con la dolcezza, la cortesia, la premura e il bel modo. Vorrei poter dire con la femminilità, senza dover dare spiegazioni e senza essere frainteso. Perché questo mondo voluto e disegnato dai "maschi" ci ha stancato: antagonismo,  competizione, sfida, scontro... archiviamoli.

I prepotenti, gli arroganti, le sgomitanti non scompariranno certo, possiamo isolarli però, costringierli a ricredersi con l'invincibile arma delle buone maniere, della garbatezza. Con il bel tratto dell'amabilità. Li spiazzeremo.
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Wednesday, September 08, 2010

5771 عيد مبارك - שנה טובה

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5771 عيد مبارك - שנה טובה

Monday, September 06, 2010

Quasi una cronaca...

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In treno di ritorno da Ancona verso Milano. Mi capita di dover prendere un Eurostar, quello delle 17.25, anziché l'Intercity delle 16.18 che era già tutto pieno. Penso sia un male, invece sarà un bene.

Non che abbia grandi programmi per la giornata che mi aspetta, che comincio, comunque, prendendomela con molta calma. Mi alzo alle nove meno poco, ma non faccio niente. Scrivo qualcosa. Accendo il cellulare, arriva un messaggio che mi infasidisce. Insolente. Il mittente lo ha spedito alle otto e qualche minuto. Dormivo. Lo cancello immediatamente. Non faccio niente, mi affaccio alla finestra, la vista non è granché, c'è il mare certo, ma gli imbarchi ai traghetti sono proprio lì davanti, nulla di propriamente poetico. La scritta *LOW COST* a tribordo, ancora fastidio. Ancora il cellulare. Hanno cercato di chiamarmi da un consolato il giorno prima, li richiamo, niente di grave, niente di speciale, arriverà una lettera dal Ministero degli Affari del Diwan... tutto nella norma, volevano solo anticiparmelo. Mi preparo un caffè doppio, forse quadruplo, mi preparo ad affrontare una giornata libera, tutta, ma proprio tutta per me. Come non accadeva da un po' di tempo. Farò il turista. Sono di buon umore, nonostante la sera prima alcune cose siano andate storte, o forse sono andate proprio come dovevano andare.

Ci metto un po' per mettermi insieme, il bagno è carino, minuto, il pavimento ha le piastrelline piccolissime a mosaico, blu scurissimo quasi nero, la finestra è grande, spalancata, mi faccio una doccia con vista sul porto, mi rado, m'incremo, preparo la borsa, sarà bell'e pronta alle quattro e mezza questo pomeriggio, quando dovrò correre alla stazione.

Ancona non è una città particolarmente bella, ha un'aria trasandata, ma almeno chi ci abita non è schizzato. Tutt'altro. In più occasioni con grande gentilezza mi vengono fornite indicazioni, anche se io mi perdo apposta, per poter poi chiedere. Colazione sul tardi, come piace a me, raramente prima delle quattordici, al "Rice and Curry", sotto gli archi. Il cibo è buono, prendo un dahl e un vegetable biryani, ma il padrone è più lento di quanto la mia pazienza possa sopportare, e non ne ho poca, abituato come sono ai paesi arabi. Si sono fatte le tre, pomeriggio al Cardeto, dove regna il silenzio e la vista è spettacolare. Leggo.

Il viaggio di rientro in treno riserva una sensazione di pace. Ricorda il viaggiare di una volta, quando in treno facevo piacevoli incontri, nel lungo vagone nessuno schiamazza, non suonano cellulari e non strillano viziati mocciosi. Si può leggere, si può fare un sorriso a chi ci sta di fronte.

E' stata una fuga di due giorni ma mi sono sembrati molti di più, perché cogliere le atmosfere dei luoghi con calma è molto diverso dalla voracità che caratterizza gli incauti e ingordi amanti delle prefabbricate esperienze di viaggio low cost, perché un viaggio non è un atto di consumo.
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La vista dal Parco del Cardeto ad Ancona
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Saturday, September 04, 2010

Il femminismo è out, la poesia in.... جمانة حداد بريشاتهم

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Di lei avevo già sentito parlare a causa della sua controversa rivista che in Libano affronta tematiche scottanti: erotismo, omosessualità, e getta nuova luce sul corpo degli uomini e delle donne. Joumana Haddad, bella, magnetica, ti cattura subito con il suo sguardo fisso, franco, con i suoi occhi nei tuoi occhi, ti lascia senza scampo. E' raro ritrovare ciò in una donna araba, ma lei lo fa senza esitazioni! La sua è una ribellione, una sfida senza compromessi e nessuna metafora, nella vita come nella poesia che scrive. Ho potuto stringerle la mano, salutarla brevemente, e porgerle una domanda durante un colloquio pubblico, ad Ancona, in occasione del Festival Adriatico-Mediterraneo 2010, ancora in corso fino a domani.

Mi è piaciuta subito, come mi è piaciuto quasi tutto quello che ha detto e le poesie che ha recitato in arabo. Nata a Beirut nel 1970, da famiglia cattolica di rito orientale, traduttrice, giornalista, poetessa, è anche fondatrice e editor della rivista trimestrale Jasad-جسد che l'ha ormai resa una piccola star nel mondo arabo progressista e progredito.

Joumana ha le idee chiare e non ha paura a far sentire la sua voce:

"Andare a pregare dovrebbe essere come andare a fare l’amore: un’ affare privato. Si parla sempre di oscenità sessuale, ma perchè nessuno parla di oscenità religiosa? Chi fa l’amore in pubblico viene mandato in prigione: sostengono che sia “un’offesa al pudore pubblico”. Io sogno un mondo laico, non contaminato, dove lo stesso trattamento è riservato a coloro che fanno spettacolo della loro fede religiosa. Eppure, lo confesso, aspetto con grande impazienza il giorno in cui una cantante musulmana danzerà in pubblico con un piccolo Corano appeso tra i seni nudi. Vivrebbe, la sciagurata, 24 ore per raccontarlo. Intanto, io vado a pregare a modo mio. Cioè a fare l’amore. In privato. Molto in privato."

Sulla Barbie con il burka non ha esitazioni: "Questa bambola è un attacco scandaloso e nauseabondo contro la donna. Non ci sono altre parole per descriverlo, uno dei simboli di questa cultura femminile perdente, basata sull’autodisprezzo, l’auto-indulgenza e la mancanza di ambizione. E lo sta dicendo una donna araba non femminista."

Nel corso della serata le sue parole sono equilibrate, traspare sempre l'individuo che è riuscita a diventare, restia a farsi appiccicare etichette che, dice, ci fanno annoiare di noi stessi, rivendica la libertà di essere molteplice, di poter cambiare, di "poter andare a cercare il mondo intero dentro noi stessi. Non una battaglia collettiva, ma l'espressione di una voce individuale che ci aiuti a ritrovare noi stessi e gli altri, che ci insegni ad amare e a soffrire meglio. Perché i giorni in cui non si ha voglia neppure di scendere dal letto ci saranno sempre, per tutti, è normale".   

Il femminismo per lei è caduto in tante trappole, fra cui, per esempio, la sua voglia di far somigliare le donne all'uomo o quella di trasformare l'uomo in un nemico, ma l'uomo può essere e, secondo Joumana, è, se lo vogliamo, un complice della donna.

Le mie parole qui non le rendono giustizia, vi lascio quindi con un invito alla lettura di una sua poesia.

Io sono Lilith la dea delle due notti che torna dall’esilio

Io sono Lilith la dea delle due notti che torna dall’esilio.
Io sono Lilith la donna destino. Nessun maschio ne è sfuggito, nessun maschio ne
vorrebbe sfuggire.

Io sono Lilith che torna dalla cella dell’oblio bianco, leonessa del signore e dea delle due notti. Raccolgo ciò che non può essere raccolto nella mia coppa e lo bevo perchè sono la sacerdotessa e il tempio. Consumo tutte le ebbrezze perchè non si creda che io mi possa dissetare. Mi faccio l’amore e mi riproduco per creare un popolo del mio lignaggio, poi uccido i miei amanti per far posto a quelli che non mi hanno ancora conosciuta.

Dal flauto delle due cosce sale il mio canto
E dalla mia lussuria si aprono i fiumi.
Come non potrebbero esserci maree
Ogni volta che tra le mie labbra verticali brilla un sorriso?

Non sono la ritrosia nè la giumenta facile,
Piuttosto il fremito della prima tentazione.
Non sono la ritrosia nè la giumenta facile,
Piuttosto lo svanimento dell’ultimo rimpianto.

Io sono la leonessa seduttrice e torno per coprire i sottomessi di vergogna
e per regnare sulla terra.
Torno per guarire la costola di Adamo e liberare ogni uomo dalla sua Eva.

Io sono Lilith
E torno dal mio esilio
Per ereditare la morte della madre che ho generato.

Joumana Haddad
da Il ritorno di Lilith - عودة ليليت
(Traduzione di Oriana Capezio)
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Thursday, September 02, 2010

Issiz Adam - Alone

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Cemal Hünal in una scena di Issiz Adam - Alone
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Alper è bello, è sfrontato, è sicuro di sé. Ha successo, ha tante donne (a pagamento), non si fa problemi, non crede in niente. E' un uomo solo. Le strade del centro di Istanbul incorniciano la sua vita, il suo ristorante alla moda e il suo appartamento "superfico".

Alper, trentenne, è il tipico uomo mediterraneo, il tipico maschio latino (in via di estinzione), ama sedurre, soprattutto se stesso, considerata la quantità di scene in cui lo vediamo davanti a uno specchio, sotto una doccia, indossare camice cangianti e magliette attillate. Alper ama e colleziona dischi di musica pop turca anni '70, generoso durante tutto il film ce ne fa ascoltare una magnifica selezione. La vita di Alper ha tutta l'aria di essere piena, appagante, realizzata. Alper ama fare sesso, ma è abituato a dormire solo.

Alper un giorno si invaghisce di Ada (Melis Birkan), incontrata casualmente in una polverosa libreria, libri e dischi, occasioni di seconda mano. Lui cercava una rarità musicale molto vintage, lei, non a caso, una copia usata di Far from the Madding Crowd. Lei, come da copione, restiste alle sue scontatissime avances, inizialmente gli corregge gli errori di sintassi. Lui non desiste, lei lentamente cede. Alper in cucina ha le mani d'oro. Complice una torta di carote e cannella, lei gliela dà.  Lei lo convince. Lui si innamora, poi si spaventa, tronca, netto. A relazione interrotta, Alper che è un uomo vero, si intenerisce, si pente, piange. Non capisce più niente, ma è troppo tardi.

Anche noi spettatori, cui il film è dedicato, piangiamo un po' a fine propiezione, per questa storia d'amore che non finisce bene, che è nostalgica al punto giusto, senza essere mielosa.

Alper è l'uomo mediterraneo nuovo che, alla fine, capisce che non ci sarebbe stato nulla di male a lasciarsi andare, a lasciarsi amare. E piange.

Issiz Adam è una pellicola del 2008 per la regia di Çağan Irmak. Alper è interpretato da Cemal Hünal.
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