The world may be known Without leaving the house;
The Sky may be seen Apart from the windows.
The further you go, The less you will know.

Monday, January 04, 2010

The diary I let people read...

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Il diario che permetto agli altri di leggere: così definiva ad un certo punto la fotografia e la sua opera, Nan Goldin. E io amo la sua opera perché mi fa essere dove vorrei essere, senza il fastidio di esserci. Non potrei sopportare gli odori per esempio che si vedono nelle fotografie di Nan Goldin. Finestre sempre chiuse, interni putridi dove si sono consumate sigarette, droga, sesso. A volte odore di cipria e rossetto. Quasi onnipresente il rosso, di vino o di sangue.

Nel 1968, all'età di quindici anni, Nan Goldin comincia a tenere in mano un apparecchio fotografico. Nel 1973 a Boston la sua prima esposizione personale: già un viaggio nelle sub-culture gay e trans del dopo Stonewall, il post-punk e il new-wave degli anni settanta e dei primi anni ottanta.  

Non mi infastidisce il suo modo di documentare la vita, perché lei lo fa dal di dentro, lei ci è immersa fino al collo, non è un'ipocrita spettatrice dei diversi, degli apparentemente diseredati, degli scoppiati che ritrae. La sua biografia ce lo conferma, anche se ne ero certo prima di documentarmi.

Provo invidia per il coraggio di avere vissuto questa vita selvaggia, di avere esplorato gli estremi, toccato il fondo, la passione, l'urgenza di consumare tutto. La vita in comune, tutti sbroccati nelle comuni, ai tempi in cui questo si faceva davvero.

Oggi ci si accontenta di farlo in internet, nei social-cosi, nelle communities virtuali...


Ieri lo si faceva e basta, non c'erano piatti da lavare o camerette da tenere in ordine...

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