Polvere, legno, pietra, mattone, luci, colori, affreschi scrostati, muri che si sbriciolano. Tanta memoria, tante storie e quasi duecentocinquanta fotografie. Un'atmosfera rarefatta.
Chiude fra pochi giorni una meravigliosa mostra fotografica che ha avuto tanta meritata fortuna e che io ho potuto felicemente visitare in più occasioni.
Sud-Est non è memorabile soltanto per gli scatti di Steve McCurry, sono il contesto e il riuscitissimo allestimento presso Palazzo della Ragione a renderla così speciale che per una volta ci pare davvero di essere in Europa a Milano.
Queste foto, queste storie che galleggiano nel maestoso salone, si fanno attraversare dai visitatori come si stesse nuotando in un mare. Nello spazio ognuno porta la sua storia e ogni storia rappresentata, ogni foto, vi si fonde. E' un sentimento di unione e di armonia che ho provato ogni volta visitando questa mostra, la prima (a pochi giorni dall'inaugurazione) e l'ultima (oggi) in particolare. In particolare quando l'ho visitata da solo. Da solo ho assaporato esattamente quello che assaporo quando sono in viaggio, da solo. Ogni foto è un dono, il dono di un viaggio. Come in ogni viaggio c'è una parte di rischio, una parte di pericolo, una parte di gioa, una parte di paura, una parte nota e una ignota. C'è un incontro a volte, altre un'incomprensione. A me è sempre sembrato di viaggiare andando a visitare questa mostra fotografica, non solo nello spazio ma anche nel tempo. Alcuni luoghi sono lontani, l’Afghanistan, la Birmania, l’India, il Tibet, e ci mostrano che anche il tempo può essere lontano, che non scorre ovunque in ugual maniera. In alcuni luoghi pare fermo e ritroviamo il fuoco per scaldare e illuminare, la terra vera e non l'asfalto sotto i piedi sempre nudi, i panni e i tessuti per coprirsi, i sorrisi e gli occhi che brillano ché dove il tempo è corso troppo in avanti sono spariti. Troviamo anche guerre e infanzia rubata fra questi viaggi, distruzione e morte. Il silenzio della gioia e quello della disperazione, della malattia. Quello della grande dignità che i tanti volti ci riportano, della serenità di fronte all'ingiustizia. (Siamo molto lontani dalle facce di chiulo alle quali ci hanno abituato le nostre attuali italiche cronache).
Non c'è un catalogo, solo un giornalone, un po' cupo, dove i signorotti locali non hanno mostrato ritegno: due pagine di apertura dedicate ai colophon e agli sponsor, due successive raccolgono le chiacchiere di ben quattro papaveroni e altre due con altri quattro interventi che non ho letto. Chiudono i ringraziamenti sviolinanti della curatrice della mostra.
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