“Se arrivate a Douz in un pomeriggio estivo, quando regnano il caldo e il silenzio, vi chiederete perché siete venuti fin qui. Resistete però alla tentazione di andarvene con il primo louage in partenza, perché questo posto non ha eguali in Tunisia: cercatevi un posto all’ombra e riposatevi, come tutte le città del deserto, anche Douz si risveglia solo alla sera quando una brezza fresca richiama la gente nelle vie; e sono proprio i suoi abitanti una delle bellezze di questa città, popolazione del deserto per la quale la gentilezza e l’ospitalità sono priorità irrinunciabili.” Così recita la Lonely Planet alla voce Douz. Città poco conosciuta, sicuramente meno nota della vicina Tozeur e mille volte più autentica di questa, per quanto “autentico” possa essere ormai un qualsiasi luogo sul nostro pianeta, infestato com’è di lonely travellers…, a Douz ci sono arrivato di pomeriggio e mi sono ritrovato a disturbare proprio quella quiete, quell’assenza di movimento che a noi occidentali viene rivelata ma che raramente, se non mai, potremo conquistare e vivere dentro di noi, that Peace that passeth Understanding… (detto tra parentesi: alcuni sciagurati, sedicenti artisti, anarcoidi e sinistresi dell’emisfero sviluppato pensano di poterla raggiungere facendosi qualche canna, il loro cervello in realtà è bruciato già da prima ed è un’assenza di materia grigia che affligge le loro vite…), lasciatomi rapire (non come certi giornalisti alla moda però…) per svariate settimane ci ho messo le tende a Douz. La vita nell’oasi, indietro nel tempo e lontano da ciò che conosciamo ci affascina; ci seducono i suoi ritmi e i suoi abitanti, apparentemente anch’essi lontani dalle isterie del nostro mondo. I sapori dell’oriente e il profumo delle spezie ci stregano… ma state in guardia cari lettori e non solo contro i rischi di una brutta epatite! La vita nell’oasi ha i suoi svantaggi. Nel cercare di far parte di questa comunità la prima cosa alla quale si deve rinunciare è la propria vita in quanto individui. È un po’ difficile da spiegare: si resta sempre liberi, liberi (in quanto forestieri) prima di tutto di andarsene, ma entrando nella comunità, non si è più uno, si diventa solo uno dei tanti membri: il mio tempo, il mio sapere, la mia esperienza, le mie cose, il mio denaro iniziano ad appartenere anche a tutti gli altri membri della comunità, e tutto questo non è il frutto di teorie applicate, è e basta. Per un po’ può fare comodo essere il membro di un gruppo: non si deve pensare a nulla, ci si svuota di tutte le ansie, everything is provided…, a lungo andare però questa assenza di individui, questa gente generica a cui non è permesso di istruirsi, di differire, di spiccare, pena l’espulsione dal gruppo, si ritrova nel bel mezzo di un’enorme pozza di mediocrità, di stenti e di miseria intellettuale ed è qui che questo comincia a fare comodo ad alcuni pochi che fanno di tutto affinché nulla cambi. Perdonate il mio divagare, dalla vita nell’oasi sono passato a descrivere la vita nel mondo arabo-islamico, che sia diventato un sociologo del calibro dell’Alberona? Sto per andarmene da qui ed è stata proprio la mancanza di libertà di espressione la cosa che di più mi è mancata in questi mesi, neanche nel chiuso di quattro mura o fra le sconfinate onde di dune del deserto si può parlare, il rischio è sempre in agguato, un anno e mezzo di galera per aver parlato male del presidente Zine Abdine Ben Ali ho assistito con i miei occhi al momento dell’arresto e alle urla disperate della mamma mediterranea: “wuhad sa’a u nus, wuhad sa’a u nus!” (un anno e mezzo un anno e mezzo!). Per di più gli arabi (ma quanto sangue arabo c’è dopotutto in un tunisino o in un marocchino…?) sono molto suscettibili e un po’ schizofrenici, loro rimpiangono le loro radici pre-islamiche, loro si possono lucidamente lamentare dell’attuale condizione in cui versa la totalità dei paesi arabi, della mancanza di democrazia, della corruzione dilagante etc. ma raramente permetteranno a un non musulmano di fare altrettanto: scatta un meccanismo di difesa del clan, della razza… ma lascio agli esperti sociologi la parola, che io sono un ignorante di queste cose e non ho letto nulla in merito. Dei rispettabili tunisini mi dicono che loro, in fondo, stanno comunque bene così, il loro dittatore, non è poi così malaccio (rispetto ad altri paesi arabi qui si gode di un relativo benessere economico, di un diffuso grado di sviluppo e di istruzione, le donne sono cordialmente invitate a non fare uso dello hijab…) potrebbe sempre andare peggio. Guardano al Libano, all’Iraq e all’Iran per citare pochi esempi e ringraziano Allah.
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