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Sala Giunta, Palazzo Marino, Sede del Comune di Milano dal 1861.
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Non ho mai amato molto Milano: la mia città, città in cui sono nato, in cui fino alle scuole superiori ho studiato, in cui lavoro da più di vent'anni, in cui ho vissuto quasi ininterrottamente e da cui, durante lunghi anni, desideravo andarmene.
E' opinione condivisa e condivisibile che poco rende questa città amabile ai più, sopratutto a quelli che ci devono sopravvivere barcamenandosi fra asilo pubblico, lavoro e supermercati discount, ma ultimamente anche i ceti più abbienti la trovano poco accogliente. Ogni fine settimana, loro che possono permetterselo, scappano altrove e abbandonano la città che dal lunedì al venerdì sfruttano per fare soldi, e già prima che sia sabato ne diventano però allergici...
Milano, mentre crescevo, era il feudo di un politico corrotto, condannato in via definitiva e poi, per propria scelta, latitante secondo l’articolo 296 del Codice di Procedura Penale. Ricordiamolo esplicitamente: Bettino Craxi morì condannato “volontariamente sottratto alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora o ad un ordine con cui si dispone la carcerazione”. A quell'epoca la "Milano da Bere" i politici soprattutto se la magnavano...
Poi c'è stato l'avvento della cosiddetta Seconda Repubblica ("mignottocratica" d'Italia) e nulla è cambiato. E' sotto gli occhi di tutti: Milano si è trasformata in feudo di sarte, bottegai, palazzinari e puttanieri. Trote e soubrette (per usare un eufemismo) sono oggi elette in consiglio regionale. La città è divenuta uno scatolone, una location per convention, buona per venirci a fare le compere e gli affari, una città quasi sempre spenta sebbene per assurdo ricca di molte iniziative ma priva di unità, priva di una visione armonica. Se qualcosa si fa, ognuno (enti varii, associazioni, comitati di quartiere etc.) la fa per conto suo, lo scopo: il proprio tornaconto, sia esso economico o di immagine. La Milano degli anni cinquanta e sessanta che alcuni ancora raccontano è relegata sempre più ai soli ricordi di pochi.
Forse fra qualche mese l'era della destra a Milano si concluderà, a sinistra i compari e le compagne di piddì e affini sono tutti agitati e eccitati: domenica 14 novembre ci saranno le "Primarie", e nell'aria si fa sempre più solida (solo nell'aria però) la speranza che la città motore d'Italia, la capitale morale, torni ad essere guidata da uno dei loro capetti.
Pisapia ci informa: «Se sarò candidato sindaco, e non dovessi vincere il confronto, garantisco che resterò per cinque anni in aula consiliare, a lavorare per la città e continuerò a costruire l'alternativa e ad alimentare l'entusiasmo che lo spirito delle primarie ha finalmente riportato in città». Questa frase la terrò bene a mente. Invece, in caso di sconfitta alle urne, Boeri si abbasserebbe a fare il semplice consigliere comunale o mollerebbe dopo pochi mesi come l’ex prefetto Bruno Ferrante che scappò da Palazzo Marino per andare a fare il consulente del costruttore Salvatore Ligresti? I due, Boeri e Ligresti, già si conoscono bene. Insieme hanno realizzato sia il progetto Porta Nuova Garibaldi che il Centro europeo per la ricerca biomedica promosso da Umberto Veronesi. Il passo dalla cultura del fare a quella dell’affare in fondo è abbastanza corto. Altro esempio.
Giochi di poltrone, intrighi, trame da retrobottega ce ne sono stati sin qui, a destra come a sinistra, e ce ne saranno ancora per i prossimi mesi, molte lavandaie sono al lavoro. L'unica speranza è che qualcosa di inaspettato, di non calcolato arrivi a sparigliare le carte. Cosa? Che vinca un candidato onesto, che dal basso individui pensanti si risveglino e abbiano voglia di impegnarsi.
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