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The Boidem a Milano, bistrot evoluto post etnico non ristorante, si autodefinisce con lo slogan "Food - Fashion - TLV" e ti accoglie come fosse la casa di una vecchia nonna o della tua zia zitella che raramente andresti a trovare. Tutto è tremendamente pulito però, i lampadari anni sessanta luccicano e le camicette assortite appese ai racks sanno di pulito e fungono da separé fra un tavolo e l'altro.
Veniamo accolti da un lumberjack a pieno titolo: barbone, camicia a scacchi, jeans sdruciti e fare molto delicato. Dico che ho una prenotazione e faccio seguire il mio nome, mi guarda attonito e attende, finalmente mi fa capire che vuol sapere attraverso quale app., quale sito o quale altro marchingegno io abbia prenotato. Pronuncio le due paroline "mi", "siedo" seguite da "punto" e da "com". Il suo sguardo da interrogativo ora si fa cupo, un secondo dopo ci indica il peggiore dei tavoli a disposizione, in fondo in fondo, di fronte alla cucina e alle toilette. Riesco ad ottenere di sederci quantomeno al secondo tavolo meno peggiore, quello a noi destinato toccherà una mezz'ora dopo a un gruppo di quattro persone più spensierate.
Il menu ci viene presentato su dei fogli A4, fotocopie a colori piegate in tre, ormai laceri e consunti. La carta dei vini è invece un formato A5 scritta a mano e sempre fotocopiata sui toni del marron, non la degniamo di uno sguardo, l'acqua è e sempre sarà the best drink in the world.
Il cameriere-padrone di casa ci avvisa subito: "non abbiamo i mazetim", il mix di antipasti tipico della cucina israelo-greco-turco-siro-medioriental-libano-palestinese. Superiamo la delusione e esaminiamo il resto, purtroppo quasi tutti i primi contengono o uova o melanzane o funghi o pomidoro, pietanze che non mangio e che non mi sono particolarmente gradite, getto un occhio sui dolci, pregustando quella che prevedo sarà l'unica vera soddisfazione del palato.
Scegliamo come primo parsa (polpette di zucchine e porri con funghi e yogurt di capra) e burektim (pasta sfoglia ripiena di delicato formaggio alle erbe) con contorno di hummous e tahina.
Tutto il menu è vegetariano, cucinato amorevolmente, ingredienti di prima scelta, biologici e a kilometro zero, a me è sembrata una cucina molto francese che strizza l'occhio al Proche Orient, come la diplomazia d'Oltralpe di fine ottocento chiamava il Medio Oriente, senza raggiungere vette di rilievo. Di Tel Aviv il sapore c'è ma quello che a me piace meno, quello dei locali molto su di Rothschild Boulevard per intenderci.
L'atmosfera è pur sempre piacevole, per quanto il servizio sia un po' freddo, e il locale molto tranquillo, il dedalo intricato della Milano medievale non si smentisce mai e ci regala un altro indirizzo, per ora almeno, poco noto ai più... Ma a che prezzi: antipasti a sette euro, primi a quattordici, secondi a diciassette, e dolci a otto...
Arriva il momento del dolce, optiamo per una fetta di halva ingegnosamente farcita quindi congelata e per una fetta di strudel all'albicocca: buona la prima, deludente la seconda.
Tutto sommato non credo che tornerò a The Boidem, troppo stylish, troppo finto, troppo qua si fa tendenza e poi, se permettete, tovaglioli di carta e superfici di nuda formica, bicchieroni di vetraccio e sedie spaiate li avevamo già visti da bambini nei bar di campagna dove ora non osiamo più entrare. Ma si sa la clientèle radical-milanese è sempre in cerca di nuovo e di "emozioni forti" e qui può assaporare qualche spezia sconosciuta acquistando una camicetta o un soprammobile vintage, perché tutto quel che vedi è in vendita al The Boidem. Curiosità: leggende metropolitane narrano che Michal Levy, la chef con cui il bistrot è partito, se ne sia andata sbattendo la porta a causa di accordi economici non rispettati...
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©photo: Basil Green Pencil |
Veniamo accolti da un lumberjack a pieno titolo: barbone, camicia a scacchi, jeans sdruciti e fare molto delicato. Dico che ho una prenotazione e faccio seguire il mio nome, mi guarda attonito e attende, finalmente mi fa capire che vuol sapere attraverso quale app., quale sito o quale altro marchingegno io abbia prenotato. Pronuncio le due paroline "mi", "siedo" seguite da "punto" e da "com". Il suo sguardo da interrogativo ora si fa cupo, un secondo dopo ci indica il peggiore dei tavoli a disposizione, in fondo in fondo, di fronte alla cucina e alle toilette. Riesco ad ottenere di sederci quantomeno al secondo tavolo meno peggiore, quello a noi destinato toccherà una mezz'ora dopo a un gruppo di quattro persone più spensierate.
Il menu ci viene presentato su dei fogli A4, fotocopie a colori piegate in tre, ormai laceri e consunti. La carta dei vini è invece un formato A5 scritta a mano e sempre fotocopiata sui toni del marron, non la degniamo di uno sguardo, l'acqua è e sempre sarà the best drink in the world.
Il cameriere-padrone di casa ci avvisa subito: "non abbiamo i mazetim", il mix di antipasti tipico della cucina israelo-greco-turco-siro-medioriental-libano-palestinese. Superiamo la delusione e esaminiamo il resto, purtroppo quasi tutti i primi contengono o uova o melanzane o funghi o pomidoro, pietanze che non mangio e che non mi sono particolarmente gradite, getto un occhio sui dolci, pregustando quella che prevedo sarà l'unica vera soddisfazione del palato.
Scegliamo come primo parsa (polpette di zucchine e porri con funghi e yogurt di capra) e burektim (pasta sfoglia ripiena di delicato formaggio alle erbe) con contorno di hummous e tahina.
Tutto il menu è vegetariano, cucinato amorevolmente, ingredienti di prima scelta, biologici e a kilometro zero, a me è sembrata una cucina molto francese che strizza l'occhio al Proche Orient, come la diplomazia d'Oltralpe di fine ottocento chiamava il Medio Oriente, senza raggiungere vette di rilievo. Di Tel Aviv il sapore c'è ma quello che a me piace meno, quello dei locali molto su di Rothschild Boulevard per intenderci.
L'atmosfera è pur sempre piacevole, per quanto il servizio sia un po' freddo, e il locale molto tranquillo, il dedalo intricato della Milano medievale non si smentisce mai e ci regala un altro indirizzo, per ora almeno, poco noto ai più... Ma a che prezzi: antipasti a sette euro, primi a quattordici, secondi a diciassette, e dolci a otto...
Arriva il momento del dolce, optiamo per una fetta di halva ingegnosamente farcita quindi congelata e per una fetta di strudel all'albicocca: buona la prima, deludente la seconda.
Tutto sommato non credo che tornerò a The Boidem, troppo stylish, troppo finto, troppo qua si fa tendenza e poi, se permettete, tovaglioli di carta e superfici di nuda formica, bicchieroni di vetraccio e sedie spaiate li avevamo già visti da bambini nei bar di campagna dove ora non osiamo più entrare. Ma si sa la clientèle radical-milanese è sempre in cerca di nuovo e di "emozioni forti" e qui può assaporare qualche spezia sconosciuta acquistando una camicetta o un soprammobile vintage, perché tutto quel che vedi è in vendita al The Boidem. Curiosità: leggende metropolitane narrano che Michal Levy, la chef con cui il bistrot è partito, se ne sia andata sbattendo la porta a causa di accordi economici non rispettati...
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