The world may be known Without leaving the house;
The Sky may be seen Apart from the windows.
The further you go, The less you will know.

Thursday, March 08, 2007

Douz, un'escursione dall'oasi

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“Se arrivate a Douz in un pomeriggio estivo, quando regnano il caldo e il silenzio, vi chiederete perché siete venuti fin qui. Resistete però alla tentazione di andarvene con il primo louage in partenza, perché questo posto non ha eguali in Tunisia: cercatevi un posto all’ombra e riposatevi, come tutte le città del deserto, anche Douz si risveglia solo alla sera quando una brezza fresca richiama la gente nelle vie; e sono proprio i suoi abitanti una delle bellezze di questa città, popolazione del deserto per la quale la gentilezza e l’ospitalità sono priorità irrinunciabili.” Così recita la Lonely Planet alla voce Douz. Città poco conosciuta, sicuramente meno nota della vicina Tozeur e mille volte più autentica di questa, per quanto “autentico” possa essere ormai un qualsiasi luogo sul nostro pianeta, infestato com’è di lonely travellers…, a Douz ci sono arrivato di pomeriggio e mi sono ritrovato a disturbare proprio quella quiete, quell’assenza di movimento che a noi occidentali viene rivelata ma che raramente, se non mai, potremo conquistare e vivere dentro di noi, that Peace that passeth Understanding… (detto tra parentesi: alcuni sciagurati, sedicenti artisti, anarcoidi e sinistresi dell’emisfero sviluppato pensano di poterla raggiungere facendosi qualche canna, il loro cervello in realtà è bruciato già da prima ed è un’assenza di materia grigia che affligge le loro vite…), lasciatomi rapire (non come certi giornalisti alla moda però…) per svariate settimane ci ho messo le tende a Douz. La vita nell’oasi, indietro nel tempo e lontano da ciò che conosciamo ci affascina; ci seducono i suoi ritmi e i suoi abitanti, apparentemente anch’essi lontani dalle isterie del nostro mondo. I sapori dell’oriente e il profumo delle spezie ci stregano… ma state in guardia cari lettori e non solo contro i rischi di una brutta epatite! La vita nell’oasi ha i suoi svantaggi. Nel cercare di far parte di questa comunità la prima cosa alla quale si deve rinunciare è la propria vita in quanto individui. È un po’ difficile da spiegare: si resta sempre liberi, liberi (in quanto forestieri) prima di tutto di andarsene, ma entrando nella comunità, non si è più uno, si diventa solo uno dei tanti membri: il mio tempo, il mio sapere, la mia esperienza, le mie cose, il mio denaro iniziano ad appartenere anche a tutti gli altri membri della comunità, e tutto questo non è il frutto di teorie applicate, è e basta. Per un po’ può fare comodo essere il membro di un gruppo: non si deve pensare a nulla, ci si svuota di tutte le ansie, everything is provided…, a lungo andare però questa assenza di individui, questa gente generica a cui non è permesso di istruirsi, di differire, di spiccare, pena l’espulsione dal gruppo, si ritrova nel bel mezzo di un’enorme pozza di mediocrità, di stenti e di miseria intellettuale ed è qui che questo comincia a fare comodo ad alcuni pochi che fanno di tutto affinché nulla cambi. Perdonate il mio divagare, dalla vita nell’oasi sono passato a descrivere la vita nel mondo arabo-islamico, che sia diventato un sociologo del calibro dell’Alberona? Sto per andarmene da qui ed è stata proprio la mancanza di libertà di espressione la cosa che di più mi è mancata in questi mesi, neanche nel chiuso di quattro mura o fra le sconfinate onde di dune del deserto si può parlare, il rischio è sempre in agguato, un anno e mezzo di galera per aver parlato male del presidente Zine Abdine Ben Ali ho assistito con i miei occhi al momento dell’arresto e alle urla disperate della mamma mediterranea: “wuhad sa’a u nus, wuhad sa’a u nus!” (un anno e mezzo un anno e mezzo!). Per di più gli arabi (ma quanto sangue arabo c’è dopotutto in un tunisino o in un marocchino…?) sono molto suscettibili e un po’ schizofrenici, loro rimpiangono le loro radici pre-islamiche, loro si possono lucidamente lamentare dell’attuale condizione in cui versa la totalità dei paesi arabi, della mancanza di democrazia, della corruzione dilagante etc. ma raramente permetteranno a un non musulmano di fare altrettanto: scatta un meccanismo di difesa del clan, della razza… ma lascio agli esperti sociologi la parola, che io sono un ignorante di queste cose e non ho letto nulla in merito. Dei rispettabili tunisini mi dicono che loro, in fondo, stanno comunque bene così, il loro dittatore, non è poi così malaccio (rispetto ad altri paesi arabi qui si gode di un relativo benessere economico, di un diffuso grado di sviluppo e di istruzione, le donne sono cordialmente invitate a non fare uso dello hijab…) potrebbe sempre andare peggio. Guardano al Libano, all’Iraq e all’Iran per citare pochi esempi e ringraziano Allah.
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Friday, March 02, 2007

Tunisian boys: a tribute and a tear...

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Mi piacciono i capelli corti corti, le ciglia folte, gli occhi scuri, la pelle liscia color oro, la bocca sempre larga, i denti bianchissimi e il sorriso perenne. Il collo forte, il corpo asciutto, il sedere sodo, i piedi grandi. Mi piacciono, che ci posso fare? Hanno la testa vuota, è per questo che sono belli, molto spesso fumano e non hanno NULLA in comune con me. E non c’è nulla che io abbia in comune con loro, è per questo che mi piacciono. Riflettono in ogni istante l’amore ricevuto in grande copia, senza riserva o benché minima interruzione, dalle loro madri e dai loro padri e dalle loro nonnne e da i loro nonni. Lo riflettono perché in esso si sono sempre rispecchiati e questa è la loro unica certezza: che l’amore c’è e che loro ne hanno diritto comuque e sempre e che non verrà loro mai a mancare, che ormai ne hanno pure grandi scorte. A differenza della quasi totalità dei turisti uomini singoli provenienti dalla vicina Europa io durante questi tre mesi non ho mai fatto sesso con un ragazzo tunisino, sebbene molti di loro si siano dimostrati più che esplicitamente disponibili. La ferita è aperta e io parlo di farfalle e le farfalle non interessano a nessuno. Più avanti vi diro’ forse altri perché.
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